Spendiamo le nostre migliori energie a costruire le condizioni che consentano a giovani e giovanissimə ragazzə italianə di riconoscere il razzismo, di combatterlo per non esserne vittimə e per non riprodurlo nella società in cui viviamo. A stretto contatto con il portato di differenze che tuttə dovremmo imparare a rispettare, lavoriamo perché le discriminazioni non limitino le possibilità di diventare ciò che desideriamo.

E oggi siamo costrettə, nostro malgrado, a parlare di pidocchi e poliziotti.

Un’innocente canzone per bambinə, firmata dal noto pedagogista Alberto Pellai per l’edizione 2021 dello Zecchino d’Oro, è diventata purtroppo la base su cui un nutrito gruppo di professionistə ha costruito una delle peggiori sintesi visuali di come riprodurre stereotipi, che hanno nel razzismo la loro matrice più profonda. Il titolo della canzone messa in musica dal Piccolo coro dell’Antoniano è “Ri-cer-ca-to”.

Così recita la sinossi in calce al videoclip della canzone:

A scuola, sui giornali, non si parla d’altro: tutto è nato a una festa, dove dei bimbi si grattavano la testa e da allora… la caccia è iniziata! Tra capello e capello pare si nasconda un esserino molto fastidioso, che scatena il prurito e potrebbe addirittura invadere tutta la città. Di chi stiamo parlando? Del pidocchio, naturalmente! Ma niente paura mamme, i rimedi per combatterlo esistono: bastano acqua, shampoo, un pettine e il gioco è fatto. E poi… “non c’è niente di male a grattarsi un po’”!

Il video è stato pubblicato il 4 dicembre sulla piattaforma youtube e sulla pagina facebook dello Zecchino d’oro .

La canzone era stata pubblicata due mesi prima con altre due versioni, la prima priva di immagini, la seconda realizzata attraverso delle animazioni e ben meno equivoca, vedere per credere e per capire

Le immagini dell’ultimo video traspongono sulla figura di un bambino nero la metafora testuale che associa un caso di pediculosi a un ironico immaginario di criminalità, facendo ricadere la natura parassitaria del pidocchio e la responsabilità sociale del problema sulla figura stessa del bambino nero. Un gruppo di coetanei in divisa da poliziotti si carica della missione di contrasto al parassitismo criminale, in un alternarsi di immagini che oppone ripetutamente la loro azione a quella del bambino nero che si gratta la testa. 

Potrà sembrare una scelta innocua, forse, o persino innocente, dal punto di vista di chi ha ideato e realizzato questo video. Eppure, quest’associazione riflette chiaramente un’ immaginario di matrice razzista, in cui la forza in grado di mantenere l’ordine è bianca, mentre il criminale, il ricercato, il corpo estraneo è nero. Il tutto incarnato da un gruppo di bambini in età scolare per un pubblico di coetanei. Quell’innocenza, allora, per dirlo con le parole di Gloria Wekker, studiosa emerita di teoria critica della razza, è “innocenza bianca” e non è un fenomeno collaterale al razzismo, ma parte integrante del problema.

La canzone – a partire dalla scelta di a chi far fare il solista – produce inoltre accostamento tra capelli afro e pidocchi, secondo il meccanismo classico di costruzione negativa della nerezza.

Di fronte a questo accostamento è fondamentale rilanciare modelli di amore di sé, per evitare interiorizzazione dell’odio a cui lavorano queste narrazioni. Fortunatamente iniziano a esserci libri anche in italiano che aiutano bambine e bambini a difendersi da questo immaginario, tra cui anche Amo i miei capelli! di Natasha Tarpley pubblicato da Gribaudo in collaborazione con Razzismo Brutta Storia, ma non solo (qui qualche consiglio per fasce d’età).

Non sappiamo se questa nostra lettera, o l’indignazione che potrà suscitare il video, sarà seguita dal ritiro del video, corredato magari da pubbliche scuse, oppure da spiegazioni sulla genuinità delle intenzioni. Sarebbe importante, ma forse poco ci interessa, perché sappiamo che sono evidenti dei limiti di prospettiva nella lettura di alcuni fenomeni, e la prospettiva è quella dominante sebbene si possa scegliere di assumerne un’altra.

Nutriamo il desiderio, invece, che chiunque lavori con giovani e giovanissimə ragazzə ricerchi per sé e per il proprio contesto lavorativo formazioni e strumenti adeguati a leggere e descrivere  la società che anche l’Italia contemporanea esprime, a dispetto di chi ne vorrebbe fare la culla di una nostalgica italianità bianca. Una società plurale, complessa e attraversata da spinte di trasformazione e giustizia che non possono più essere ignorate.



Articolo pubblicato in Articoli, il 20 dicembre 2021