In che modo parlare di rap e trap ci consente di parlare di e comprendere meglio il razzismo?

Qui Alcuni estratti dalla rivista Jacobin Italia, in cui la nostra expert Wissal Houbabi parla di rap, trap e razzismo

Dall’articolo Il rap spiegato da una femminista

“Il rap naturalmente non è solo politico, ci mancherebbe, ma si fa politica anche quando si pensa di non farla: quando il linguaggio è sistematicamente misogino a tal punto da definire un immaginario preciso, diventa una questione politica e nessuno è escluso dalla propria responsabilità, neanche chi resta in silenzio. […] 

E proprio la cultura hip hop rappresenta uno spazio di resistenza creativa dal basso, uno sguardo decentrato che si impone sulle narrazioni egemoniche, spesso soffermandosi su questioni legate a razza e classe. 

Ciò che c’è invece di davvero fastidioso in questo dibattito è l’accanimento verso il genere rap, un genere che si presta facilmente alle accuse rispetto ad altri generi più mainstream anche per la storia che si porta dietro, o meglio, per le storie che caratterizzano questo genere di scrittura. Il rap ha un linguaggio diretto e schietto, nasce dalla marginalità, e come scrive bell hooks il margine è:

un luogo in cui abitare, a cui restare attaccati e fedeli, perché di esso si nutre la nostra capacità di resistenza. Un luogo capace di offrirci la possibilità di una prospettiva radicale da cui guardare, creare, immaginare alternative e nuovi mondi di privazione. Può anche essere un ambito per la nascita di nuove possibilità di radicalizzazione, uno spazio di resistenza

Per approfondire:

Le Black Panther scrivono ai rapper che hanno a cuore la comunità afroamericana

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Articolo pubblicato in Articoli, il 16 settembre 2020