Questa pagina è stata realizzata in collaborazione con l'associazione HRI - Human Rights International

È urgente una “decolonizzazione” dell’istruzione. Ma cosa vuol dire? E come si può raggiungere questo obiettivo?

La decolonizzazione, secondo l’Enciclopedia Treccani, è il “Processo attraverso cui un territorio sottoposto a regime coloniale acquista l’indipendenza politica, economica e tecnologica dal paese ex-colonizzatore”.

Forse questa definizione può confondere: territorio? Regime? Cosa ha a che fare con il nostro sistema educativo?

Come spiega Rachele Borghi nel suo Decolonialità e privilegio (Meltemi 2020) “abbiamo vissuto con l’illusione di aver superato il colonialismo nel momento in cui tutti i Paesi sono diventati indipendenti politicamente, quando si è avviato il processo comunemente chiamato decolonizzazione. Ma questo in realtà è un processo che riguarda più la formazione degli Stati-nazione dal punto di vista formale e l’invenzione della nazione (Anderson 2009), niente ha a che vedere con la vita materiale delle persone. Non ha niente a che vedere nemmeno con la decolonizzazione del pensiero, con la cancellazione di gerarchie tra gli individui e con la sconfitta dei rapporti di dominazione.”

Parafrasando dagli articoli “Why decolonizing Education is Important” di Reneeka Massey-Jones e “Decolonizing the Classroom” di Michael Seward:
Decolonizzare l’istruzione significa dunque  ri-costruire un sistema scolastico che supporti tutte/i le/gli studentesse e studenti, il personale e le/gli insegnanti. Un sistema che metta in evidenza le esigenze e risponda alle necessità particolari di ogni bambina e bambino. Attualmente, le/gli student* non bianch* e le/gli student* a basso reddito sono svantaggiat*. Per iniziare a decolonizzare l’istruzione, dobbiamo aprire un dialogo aperto sul razzismo, il classismo, le origini, il genere, le disabilità, i pregiudizi e le discriminazioni e cambiare il sistema nel suo complesso! (1)

Cosa trovate in questa pagina?

In questa pagina troverete risorse, spunti e strumenti per iniziare questo lavoro! In particolare:

  • Una video conversazione tra Rahma Nur, Eva Ugiagbe, Valentina Migliarini e Ivo Passler realizzata dall’associazione HRI – Human Rights International in collaborazione con Razzismo Brutta Storia a seguito dell’uscita delle vignette discriminatorie dei sussidiari per le scuole elementari.
  • Il programma del nostro corso per Docenti nell’ambito del progetto QuBì Affori: “Inclusi in cosa ? Riflessioni e strumenti per una didattica Intersezionale” a cura di Valentina Migliarini e con la partecipazione di Rahma Nur
  • Alcuni articoli e risorse utili dal mondo e buone pratiche per un’educazione decoloniale

Buon lavoro!

 

Sulla necessità di decolonizzare la scuola - dialogo tra Rahma Nur, Eva Ugiagbe, Valentina Migliarini e Ivo Passler realizzata dall'associazione HRI - Human Rights International

Ecco una risorsa suggerita durante il corso “Inclusi in cosa? Riflessioni e strumenti per una didattica intersezionale”, tenuto dalla docente Valentina Migliarini, PhD in Sociologia dell’educazione.

Si tratta di un esempio di Pedagogia Culturalmente Rilevante, insegnamento d’eccellenza per studenti di diverse etnie che porti al successo scolastico, allo sviluppo e mantenimento della loro cultura e alla consapevolezza critica per opporsi allo status quo.

 

Meet the Bronx Educator Who Uses Hip-Hop to Teach Science

Sempre Valentina Migliarini ha scritto un articolo importante in seguito a un dibattito scoppiato sui social sul tema della rappresentazione in ambito scolastico.

Lasciamo qui un nostro breve articolo al riguardo, e riportiamo un estratto dell’articolo di Valentina:

L’assenza di una diversità nel corpo docente e fra gli editori scolastici italiani ha spianato la strada a pubblicazioni, narrazioni, storie e percezioni di inclusione declinate nella prospettiva della suddetta ‘norma’ italiana e senza una consultazione e una partecipazione dei veri protagonisti di quelle narrazioni.

Ulteriore elemento di fastidio nel mezzo della polemica sui social, è il constatare che una certa parte del pubblico italiano bianco non perda occasione di esercitare il proprio potere simbolico e il proprio privilegio per spiegare ed insegnare ai Neri, ai migranti, a chi non si conforma alla ‘norma’ italiana, cosa sia il razzismo o la discriminazione e cosa invece non lo sia.

In questa vicenda, dunque, le autrici dell’antologia, gli editori e i difensori delle buone intenzioni all’italiana continuano convenientemente ad avere una visione superficiale ed evasiva delle manifestazioni del razzismo in Italia, senza mettere al centro le esperienze dei Neri italiani, e le conseguenze emotive, psicologiche, sociali e materiali che vivono quotidianamente.

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