Un calcio al razzismo, di Miguel Vallebona

Una giornata iniziata guardando il cielo, c’erano delle nuvole cariche di espressività venute fuori dopo alcuni giorni di pioggia. Ho sempre amato le nuvole ed, essendo ispirato, ho preso la mia macchina fotografica sottobraccio e, in sella alla mia bicicletta, sono andato alla ricerca delle migliori. Sapevo già che alla stazione centrale di Milano ci sarebbe stato un presidio per gli immigrati che in queste settimane stanno arrivando da diversi Paesi per sfuggire da guerra e fame e cercare di trovare un futuro migliore – se non qui forse in altri Paesi ma sicuramente non nel loro – ma non era stato quello il mio primo pensiero in quel pomeriggio, ci sarei andato da lì a poco certo, ma non fu quella inizialmente la mia prima meta.

Andavo in giro guardando in alto e mi facevo portare dalle nuvole migliori che non avendo confini vanno dove vogliono, o meglio dove il vento decide di portarle, non decidono dove andare, questo il loro unico limite, ma qualcun altro lo fa per loro, un bel compromesso: vi lascio libere ma alle mie condizioni.

Guidato dal cielo e orientandomi come si fa con le stelle arrivo nei pressi della stazione e ciò che vedo subito è un gruppetto di leghisti che fanno un sit-in di protesta, non è certo la migliore delle accoglienze che pensavo di trovare appena arrivato lì e la cosa inizialmente mi disturba parecchio ma poi succede qualcosa, esco per un attimo da quello che è il mio stato personale del momento e accade che piano piano guardando al di fuori e allargando il mio campo visivo, trovo davanti a me una metafora stupenda: si trovavano tutti ammucchiati su un’isola pedonale, attorno a loro solo la strada e le macchine e sono circondati da un gruppo di carabinieri. Erano isolati su un barcone di cemento in balia del traffico attorno a loro e tenuti sotto controllo.

Dopo questa metafora, a questo punto sorridendo, mi avvio al presidio, mi interessa subito capire le reali condizioni di queste persone, senza avere il filtro dei mass media, e trovo soprattutto nel loro sguardo, difficile da sostenere, la stanchezza e il disorientamento di non sapere cosa ci sarà, non tanto il giorno dopo ma ore dopo. Come nuvole portate dal vento sono in balia ma non liberi.

Non me la sento di fotografarli mentre sono in fila per prendere un pasto, forse chi ha intenzione di documentare un certo tipo di situazione dovrebbe farlo, ma forse cerco qualcosa di diverso da documentare qualcosa che non abbia già visto in televisione, qualcosa che mi emozioni ma non di pietà. E allora succede che salta fuori un pallone e due porte, si improvvisa una piccola partitella, forse un torneo, forse un campionato o forse la coppa del mondo, ma a questo punto poco importa e mentre li fotografo correre, tirare, segnare ed esultare per un goal, mi rendo conto che le nuvole oggi, almeno oggi, si erano fermate qui libere e in attesa del loro prossimo viaggio.

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