Di Andi Nganso

Due giorni fa sono andato a vedere Tolo Tolo.

Prima di andarci, ho avuto una conversazione con una cara amica alla quale ho spiegato perché il Trailer non mi era piaciuto. Abbiamo avuto una bella discussione sul tipo di commedia di Zalone, sull’arte e soprattutto sulla prospettiva dalla quale gli artisti guardano al Mondo. Conoscendo alcuni film di Zalone avevo quindi una grande perplessità: secondo me il tipo di commedia non era adatto per trattare una tematica così tragica in un momento storico di questa gravità.

Il film vuole colpire i pregiudizi, toccare il tema molto sensibile dell’immigrazione e sensibilizzare sul viaggio tragico verso l’Europa.

Zalone nei suoi film è di solito un personaggio becero e a volte indifendibile. Toto Tolo ci fa scoprire uno Zalone un po’ meno rude ma con la grande incapacità di calarsi appieno nella drammaticità delle storie dietro ad ogni esperienza migratoria. Il film ha la grande debolezza di peccare di troppa superficialità. Lo so, è lo stile di Zalone. Appunto.
Le battute “divertenti” sono inserite secondo me nelle scene inadeguate e nei contesti sbagliati. (Le risate in sala, in corrispondenza delle scene nei carceri libici o in mare… Boh!)

Tolo Tolo solo in apparenza non è ostile nei confronti dei migranti.

Sì, la figura del migrante è resa simpatica e “divertente” però l’eccessiva semplificazione fatta nel narrare quelle storie non aiuta a comprendere. Manca in modo chiaro la preparazione e l’approfondimento prima di toccare un tema così drammatico. Per essere all’altezza, Zalone doveva forse dimostrare di aver compreso il fenomeno. Invece, ritroviamo superficialità che molto probabilmente tanti hanno riportato a casa.

È possibile utilizzare l’ironia per sensibilizzare su un tema così tragico? Sì! Però per arrivare a questo, bisognerebbe dimostrare di conoscere approfonditamente i luoghi e la tematica. La comprensione di tutto il fenomeno e delle sue origini multiple offrirebbe la possibilità di sviluppare empatia e rispetto della drammaticità della storia.

Non commento la scelta scenografica sulla rappresentazione dei luoghi in Africa. Siamo stanchi di quella roba. Chi ha coraggio vada a raccontare Lagos, Kigali, Kampala, Abuja, Accra, Abidjan, Libreville, ecc.

A pezzettini il film è irritante. Non sono riuscito a rimanere seduto in sala fino alla fine. Quando è iniziato l’ultimo pezzettino del film con la domanda perché alcuni bambini nascono in Africa, non ho retto, mi sono alzato e sono uscito. È stato sicuramente il pezzo conclusivo di un film che non consiglierei di andare a vedere: gli sfortunati bambini africani nascono là perché una cicogna strabica, poco in forma ha sbagliato destinazione. WTF????
Cattivissimo gusto.

In fin dei conti, questa è la prospettiva dalla quale è stato costruito il film: Uomo eteronormato bianco che guarda dall’alto in basso all’Africa e ai poveretti.

In conclusione penso che il film sia la storia dell’antirazzismo in Italia. Tante buone intenzioni ma nessuna voglia di provare la fatica di decostruire il sistema profondamente razzista, misogino e discriminatorio prima di mettere gli stivali della battaglia. Il risultato?

Si riproducono le stesse cause e gli stessi effetti che cerchiamo di combattere e divulghiamo gli stessi messaggi che non aiutano in niente la società ad evolvere.

Per me è NO! 

Spoiler del Festival DiverCity 2020: avremmo un laboratorio di fotografia condotto da un giovane artista che stimo tanto, sul cambio di sguardo nella produzione artistica e nella vita. Decostruire, decostruire, decostruire. È importante.

 

Andi Nganso

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Medico, attivista e co-fondatore del  Festival DiverCity, uno spazio critico per pensare, ascoltare e approfondire i temi della diversità, con particolare attenzione alla rappresentazione di Afrodiscendenti o persone di origini straniere in Italia. Andi Nganso è tra le e gli experts di Razzismo Brutta Storia.

 

07 gennaio 2020