Poche settimane dopo il caso Alitalia, è la volta dell’Aida di Verona: di quanti casi abbiamo bisogno per mettere a fuoco che il blackface non è ammissibile?

All’inizio di luglio Alitalia aveva ricevuto una pioggia di critiche a causa di uno spot in cui un attore impersonava l’ex Presidente degli Stati Uniti Barack Obama. Per rendere l’interpretazione più realistica, ma non troppo, invece di assumere un attore nero si era deciso di truccare la faccia di Khaled Balti, tunisino, in modo da farla sembrare nera.

Spot Alitalia

Truccarsi di scuro per far assomigliare il colore della propria pelle a quello di una persona Nera è una pratica che si chiama Blackface. Questo gesto, che può forse apparire di poco conto, ha una storia dolorosa e razzista.

Le origini del blackface risalgono al diciannovesimo secolo. Gli attori bianchi (esclusivamente maschi) si truccavano e andavano in scena indossando cenci e stracci, esagerando la profondità della voce, il modo di parlare e alterando con il trucco i tratti del viso. Le persone Nere venivano rappresentate dalle loro caricature come pigre, ignoranti, codarde, lussuriose, in un trionfo di stereotipi che la campagna Alitalia ha riproposto, leggermente smorzati, come ha fatto notare un utente: “[…] vedo – oltre a tutto il resto – del velato implicito razzismo nelle risposte che danno a ‘cosa faceva prima di fare il Presidente?’ Il giardiniere, il giocatore di pallacanestro, il cameriere, e certo, è nero, mica poteva essere avvocato.”

Gli spettacoli accoglievano il favore del pubblico bianco, che si divertiva a vedere queste figure grottesche sul palco. Vedere rappresentate persone Nere in modo distorto consentiva ai bianchi di riderne, dimenticando o relegando gli orrori della schiavitù, rafforzando gli stereotipi e confermando la superiorità bianca.

Il 4 luglio Alitalia ha ritirato il suo spot, scusandosi. Enrico Mentana ha commentatoEcco una storia che ci racconta gli eccessi del politically correct. Spot divertenti ma censurati, e il perché è piuttosto disarmante. Alitalia ha fatto bene a non correre rischi maggiori, ma la logica per cui arriva sempre uno più puro che ti fa la lezione sta diventando essa stessa censurabile”.

A questo commento Igiaba Scego risponde “In US una cosa così non sarebbe stata possibile. Non è ironico. Offende i neri e offende gli italiani di qualsiasi colore. Ci dipinge come popolo provinciale e ignorante. È davvero preoccupante vedere come parte dei media non colgano che in una società multiculturale i retaggi coloniali e schiavisti sono riferimenti pesanti. Le consiglio direttore di leggere orientalismo di Edward Said. Purtroppo manca una decolonizzazione della cultura italiana e ancora ci portiamo scorie addosso di un passato tossico. Io penso che sia arrivata l’ora per voi che operate nei media di leggere testi postcoloniali. Non si può scrivere di una società complessa senza avere informazioni complesse nel proprio bagaglio. Io nel mio piccolo, siccome ci sono tante cose che non conosco, cerco di informarmi.”

Ed ecco che qualche settimana dopo, il 19 luglio, il Corriere del Veneto pubblica un articolo, intitolato “Aida a Verona, soprano si rifiuta di truccarsi di nero: «È razzista».

L’articolo racconta del rifiuto della soprano Tamara Wilson a usare su di sé, nei panni della principessa etiope Aida, il blackface. La richiesta, a quanto riportato, è arrivata dopo due repliche dello spettacolo. La cantante dopo la sua richiesta ha ottenuto che le venisse applicato un trucco meno scuro. Wilson ha quindi commentato: “Ho vinto la battaglia, ma ho perso la guerra. Ho ottenuto che il make-up fosse schiarito, quindi ero ancora più scura della mia pelle naturale, ma non era il punto di nero dipinto dall’inizio. Forse cambierà per il terzo show. Io continuerò a lottare”. La soprano però non è andata in scena nei panni di Aida, poiché si è ammalata ed è stata prontamente sostituita da Maria José Siri, che ha sfoggiato il tradizionale blackface.

aida

Notiamo il sottotitolo dell’articolo:  “Il gesto della cantante Tamara Wilson a sostegno dei migranti”. Viene spontaneo chiedersi il motivo della scelta del termine “migranti”, mai menzionati da Wilson, che aveva giustificato il suo rifiuto richiamandosi alla pratica razzista e offensiva del blackface: «Non voglio truccarmi di nero. Non voglio essere un ingranaggio in un meccanismo di razzismo istituzionalizzato». E ci si risponde che l’equazione più comune, che forse è la stessa che fa l’autrice è bianco : nero = migrante : italiano (come europeo, o statunitense), chiamando in causa e sovrapponendo più livelli: quello della razza, della nazionalità, dello stato o condizione in cui si trova una persona. Ed ecco che la stereotipizzazione del diciannovesimo secolo ricompare, e conquista una nuova variazione: oltre che pigra, ignorante, codarda, e lussuriosa, la persona Nera è automaticamente migrante, come diretta conseguenza del colore della sua pelle. Chi prende posizione contro una pratica denigratoria e razzista come il blackface si starebbe esprimendo su un tema di migranti, e non denunciando una tradizione offensiva.

Cattura

La negazione e l’irritazione che si intuisce leggendo queste righe confermano il malcelato razzismo che la pratica del blackface porta con sé. Ignoranza e rimozione si sposano con la necessità di non mettere in discussione la propria bianchezza, la propria storia e il proprio passato. Il valore di gesti gravi e oltraggiosi si affievolisce di fronte alla necessità di fare finta di credere che si tratti di atti inoffensivi che non hanno tutta l’importanza che viene loro attribuita.

Sul caso Alitalia, sull’Aida e su qualunque rappresentazione razzista di cui viene difeso il diritto di essere politicamente scorretta citiamo le parole di Achille Mbembe:

Si resta risentiti se una disciplina emanata da un altro ordine ci priva del diritto di ridere, del diritto a un umorismo che non è mai rivolto contro se stessi (autoironia) o contro i potenti (la satira in particolare) ma sempre contro chi è più debole – il diritto di ridere alle spese di chi si vuole stigmatizzare”
(Achille Mbembe, Nanorazzismo. Il corpo notturno della democrazia, Laterza 2019).

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30 luglio 2019